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Il Sole24Ore Sanità ha recentemente presentato dati IMS Health indiscutibili: la spesa farmaceutica italiana negli ultimi anni è cresciuta; il mercato farmaceutico in Italia negli ultimi anni è cresciuto. I dati trovano riscontro nei rapporti pubblicati dall' Osservatorio sull'impiego dei medicinali (OsMed), che attesta una spesa complessiva superiore ai 26 miliardi di euro.

Tuttavia la domanda sorge subitanea: se il mercato farmaceutico è in crescita, perché in quasi tutte le realtà del settore si sente parlare di crisi? Perché i continui tagli di centinaia di unità del personale nelle principali realtà operanti sul mercato farmaceutico italiano? La risposta presenta diverse sfaccettature, di cui si riescono chiaramente ad individuare 2 fattori determinanti: i cambiamenti geopolitici, la spesa farmaceutica italiana.

Cambiamenti geopolitici
L'Italia, alla stregua e di più di molte nazioni occidentali, è considerata dalle realtà multinazionali un mercato maturo. Ovvero un mercato che non presenta significativi margini di crescita e in cui, in una logica di conto economico, è indispensabile razionalizzare le risorse per massimizzare i profitti, così da consentire investimenti nelle aree del globo a forte crescita - Brasile, Russia, India, Cina, BRICs nella definizione coniata da Goldman Sachs. Questo razionale ha determinato sia la chiusura dei principali centri di ricerca sul territorio italiano controllati da aziende multinazionali, sia la costante ottimizzazione delle strutture commerciali operanti sul territorio.

L'incertezza della congiuntura economica italiana ha negli ultimi anni acuito la sfiducia verso il nostro mercato e prodotto talvolta un'accelerazione dei processi riorganizzativi. I cambiamenti geopolitici sembrano ineluttabili: già oggi diverse specialità medicinali hanno il loro primo mercato nel territorio cinese e non più negli US e, secondo le proiezioni economiche di PIL, l'Italia per il 2050 scivolerà al 19imo posto nelle classifiche mondiali (dopo le Filippine, Pakistan e Turchia).

Spesa farmaceutica italiana
I dati di spesa degli ultimi anni evidenziano 2 distinte tendenze: il livellamento della spesa territoriale e la crescita dell'ospedaliera; un differente comportamento determinato sia dalle differenti modalità di gestione e controllo della spesa, sia dalla maggiore influenza del generico nella spesa territoriale.

La spesa territoriale appare sotto controllo e generalmente all'interno del tetto di spesa prefissato, l'eventuale sforamento implica un payback da parte delle aziende (l'ultimo nel 2010). La spesa ospedaliera è invece a circa di circa 5,4mld di euro a fronte di un tetto di spesa fissato in 2,5mld del Fondo Sanitario Nazionale con uno sforamento a carico delle regioni (ragione per cui molte aziende si adoperano in attività di Market Access finalizzate a migliorare/controllare la spesa). Tuttavia le discrepanze a livello regionale sono molteplici: vi sono regioni virtuose come Lombardia, Veneto, Piemonte e regioni deficitarie come Sicilia, Puglia, Lazio.
A livello centrale vi è crescente attenzione nel contenimento della spesa ospedaliera, in particolare nell'immissione in commercio dei farmaci innovativi, il cui possibile utilizzo vede frequentemente specifiche limitazioni.

La polarizzazione tra territoriale e ospedaliera rispecchia anche il portafoglio delle aziende, che sul fronte primary ha subito la scomparsa dei blockbuster e l'avvento del generico, mentre sul fronte specialistico gode ancora di una buona pipeline e della presenza di farmaci innovativi. Il ruolo di diverse molecole equivalenti, come PPI e statine, è centrale nel contenimento della spessa territoriale così come potrebbe esserlo sul fronte ospedaliero l'ampliamento della disponibilità di biosimilari previsto per i prossimi anni.

Quale crisi

Non sarebbe appropriato leggere una crisi del mercato farmaceutico italiano nei ricavi, complessivamente in crescita, e neanche nella profittabilità, solo parzialmente intaccata dagli equivalenti e dalle scadenze brevettuali.

Pertanto le problematicità, al di là dei casi di singole aziende, vanno ricercate in termini di appetibilità del Sistema Italia in altre due aree strategiche: la gestione dei costi e la fiscalità. Per tali aspetti, l'attività di lobbying ha già mostrato i propri limiti, in questa fase in cui la crisi è argomento sufficiente per frenare le richieste di qualunque gruppo di interesse. Pertanto, per non subire eccessivamente lo scenario, alle aziende non rimane che reagire nell'unico modo in cui è possibile affrontare queste due aree strategiche: modificando i propri modelli organizzativi e operativi.

Inevitabilmente nel breve periodo, non potendo compensare rapidamente la diffusa assenza di innovazione sul prodotto,  tale  rimodellamento strategico e operativo non può che impattare a livello organizzativo e commerciale. Appare importante tuttavia che tale valore non sia semplicemente sottratto dalle aziende alle operations sotto forma di risparmio. È fondamentale che tale valore sia ri-investito nel rinnovamento progettuale e comunicazionale delle aziende, alla ricerca di nuovi modelli che comportino un ROI più alto, capitalizzando le opportunità di un mercato che non è in crisi, pur subendo l'effetto della crisi a livello sistemico.

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