Ventiquattro contratti di sviluppo firmati a Palazzo Chigi, per un valore di 1,4 miliardi di euro, destinati al mondo dell'industria del made in Italy e che hanno riguardato anche due farmaceutiche, Dompé e Sanofi Aventis. La notizia è di pochi giorni fa ma sembra essere un richiamo a un appello che era partito proprio in occasione dell'assemblea pubblica di Farmindustria di inizio mese. «L'Italia può diventare l'hub farmaceutico dell'Europa e per questo c'è bisogno di una corsia preferenziale per gli investimenti delle multinazionali farmaceutiche». L'appello è stato lanciato da Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, e si tratta di un refrain caro al professore, richiamato in diversi articoli a sua firma e sostenuto dai dati: secondo quanto emerso dal suo intervento, infatti, «dal 1991 a oggi l'incidenza dei prodotti farmaceutici sull'export italiano complessivo è salita dallo 0,5% al 4,5%: i medicinali sono il prodotto il cui export è cresciuto di più in Italia (5,3 miliardi di euro in più solo negli ultimi tre anni) segnando nel 2013 un aumento del 14% (gli altri comparti sono stabili) e negli ultimi 5 anni del 64% (+7% la media manifatturiera)». Tanto che «hanno chiuso il 2013 al quarto posto nella classifica dei 119 settori esportatori, dopo quelli della meccanica, e nel primo trimestre 2014 sono saliti sul terzo gradino del podio». «Un successo assicurato dalle nostre multinazionali "tascabili" del settore» aveva scritto Fortis in un articolo del 12 giugno del Sole 24 ore «ma anche dai numerosi investimenti di multinazionali straniere». Secondo quanto aveva sottolineato Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, in occasione dell'assemblea pubblica, infatti «la composizione del nostro mercato è particolare: forse unico caso in Europa abbiamo il 40% delle aziende che sono a capitale italiano e il 60% estero. Abbiamo aziende a capitale italiano con un alto indice di internazionalizzazione e aziende a capitale estero che investono nel Paese». E la caratteristica dell'Italia, continua Fortis nell'articolo, è che «il treno in questo caso corre in modo esattamente opposto a quello delle lavastoviglie la cui produzione italiana purtroppo rischia di finire in Polonia e Turchia. Nella farmaceutica invece abbiamo ottimi siti produttivi e una manodopera qualificata a buon costo: due fattori vincenti che vanno valorizzati. Perciò il Governo non deve perdere l'occasione di poter far diventare il nostro Paese l'hub farmaceutico dell'Europa rendendo più attraenti gli investimenti delle multinazionali straniere che stanno razionalizzando e concentrando i loro insediamenti». Se i risultati attuali della farmaceutica italiana sono già da record, è la riflessione che Marco Fortis ha avanzato in più occasioni, pensiamo cosa potrebbe accadere se solo si favorissero altri investimenti stranieri. Gli aspetti critici del sistema italiano li aveva sottolineati anche Scaccabarozzi: burocrazia, fisco, quadro normativo instabile, una politica farmaceutica suddivisa in 21 realtà territoriali. Per questo, secondo Farmindustria, occorre «velocizzare le procedure burocratiche riferite ai nuovi investimenti; accelerare l'accesso all'innovazione frenato da troppi vincoli nazionali e regionali; aiutare le imprese a utilizzare i Fondi europei per produzione e R&S; individuare sistemi premiali per i prodotti che contribuiscono agli investimenti; rendere più veloci le ispezioni ai siti produttivi», ma anche «rivedere il Titolo V della Costituzione, per riportare "al centro" - e quindi al Ministero della Salute e all'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) - la politica farmaceutica».

Fonte: Farmacista33 a cura di Simona Zazzetta

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